Siamo sicuri che chiunque di voi abbia visto il video, prima che diventasse virale e prima di immaginarsi il contenuto, nel momento stesso in cui l’ormai famosa direttrice Katia ha iniziato ad intonare le prime note di “Io ci sto” hanno avuto l’istinto di coprirsi gli occhi.
Già, l’imbarazzo che si prova a guardare quel video è comune, motivo che spiega il suo essere diventato virale.
Più un video è grottesco, più è imbarazzante e più fa successo: incredibile no?
Abbiamo letto in molti che il suddetto video è stato prodotto per un contest aziendale che aveva come scopo quello di creare unione tra tutte le filiali della banca dell’Intesa San Paolo.
In questo caso il video, che è al centro di articoli, post e prese in giro, doveva rimanere privato, non uscire dal contest per il quale era stato creato ma, ad oggi possiamo dire, purtroppo è uscito.
Il web, si conferma nuovamente, un’arma potentissima in mano a persone che non hanno la minima idea di come un commento o un pensiero condiviso sui social possa essere devastante per i diretti interessati.
Di vicende in cui video o foto – sbagliati/e – sono diventati virali ne avrete memoria.
Perché gli utenti possono avere un potere così forte se non sono in grado di gestirlo?
Un potere dominante che ha portato Katia ad oscurare il proprio profilo Facebook, che ha incitato l’azienda a licenziarla, utenti così saccenti da permettersi di consigliarle di rinchiudersi in un manicomio.
Come per la pubblicità della Motta vi consigliamo di rivedere il video da un altro punto di vista.
Sosteniamo che il web debba essere saputo usare: che voi siate utenti, aziende o semplici navigatori prendete le giuste distanze da chi tende solo a giudicare – in modo critico – tutto ciò che i social rendono virale.
Forse ci vorrebbe un bugiardino, proprio come per le medicine, per l’uso dei social.