“Storytelling: l’arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva, spec. in ambito politico, economico ed aziendale” – Oxford Languages.
Abbiamo più volte parlato dell’importanza dello storytelling nella definizione di un piano comunicativo. Questo strumento espressivo non è certo un’innovazione, l’arte di raccontare storie ha radici ataviche, ma solo recentemente si è compresa l’importanza della narrazione del sé applicata al campo del marketing e della comunicazione aziendale.
Affinchè si crei una solida brand reputation è infatti necessario che il cliente ci conosca, conosca la nostra storia e soprattutto si riconosca nei nostri valori.
Con l’affermarsi dei social (ed in particolar modo di Instagram) è diventato fondamentale “metterci la faccia” ed aprire le porte del nostro mondo ad una community di utenti. Cosa permette il passaggio da utenti (e dunque potenziali clienti) a clienti veri e propri? La fiducia. Conoscere chi c’è dietro un marchio o un nome, ci rende riconoscibili e familiari agli occhi dell’utente, crea quella che viene definita brand awareness.
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Storydoing: how to
Se il raccontarsi è importante per far nascere questo sentimento di fiducia, indispensabile per consolidarlo è lo storydoing.
Oh no, un altro termine inglese ed un altro concetto complicato! Tranquilli, non è poi così complesso.
Cosa è lo storydoing? Lo storytelling che non si ferma alle parole, una narrazione che trova conferma nelle azioni. Un’azienda che voglia applicare una buona strategia comunicativa dovrà dunque raccontarsi e creare iniziative che confermino i propri valori ed intenti. Coinvolgere l’utente in questo tipo di azioni, fa sì che si senta parte della vita del brand e che vi si affezioni ancora di più.
L’affiancamento di queste due tecniche comunicative risulta particolarmente efficace nella creazione di una community attiva e florida, specialmente nell’era post-lockdown. Quando improvvisamente ci siamo trovati tutti chiusi in casa, la nostra unica finestra sul mondo sono diventati i social. Per le aziende è diventato necessario affidarsi proprio ai social per continuare a far parte della nostra quotidianità e l’unico modo per differenziarsi, è stato coinvolgerci attivamente, distrarci, intrattenerci, rispondere ai nostri bisogni senza che vi fosse necessità di chiedere.
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Qualche esempio pratico: la Galleria degli Uffizi
Ora che siamo tornati alla “vita normale” (se di normalità si può parlare) oscilliamo continuamente tra il bisogno del conforto della “tana” e la necessità di vivere il mondo esterno in tutta la sua pienezza. Abbiamo voglia di essere coinvolti e trascinati in nuove avventure. Il terreno è dunque particolarmente fertile per lo storydoing, che va ad appagare proprio questo nostro desiderio.
Qualche piccolo esempio pratico?
La Galleria degli Uffizi ha puntato molto sulla comunicazione social, organizzando svariate iniziative che coinvolgessero l’utente e lo portassero – anche solo idealmente – all’interno del museo. Durante il lockdown, la Galleria ha pubblicato storie su Tiktok, conducendoci nelle sale, mostrandoci opere d’arte, facendoci sognare di essere veramente lì. Non appena terminato lo stato d’emergenza, la Galleria degli Uffizi ha giocato la carta vincente: Chiara Ferragni. La celeberrima influencer, che è stata più volte coinvolta in campagne di storydoing, ha condotto con sé gli utenti social all’interno del museo.
Questa operazione di marketing ha fatto sì che la Galleria degli Uffizi diventasse trend topic su Instagram, Twitter e TikTok, coinvolgendo – nel bene e nel male – milioni di persone e comportando un aumento del 27% dei visitatori del museo.
Qualche esempio pratico: Starbucks & Oreo
Starbucks ed Oreo sono aziende maestre dello storydoing. Una delle prove più lampanti delle strategie comunicative di Starbucks è stato il lancio del Flavour Changing Frappuccino, una bevanda dai colori pastello ispirata agli unicorni. Gli utenti, oltre ad essere inevitabilmente attirati dall’aspetto Instagrammabile della bevanda, sono stati chiamati a sbrigarsi perchè il Frappuccino color unicorno sarebbe rimasto in commercio per una sola settimana. Quale è stato il primo istinto dell’utente? Correre ad assaggiarlo ovviamente e postare una foto sui social!
Oreo, dal canto suo, ha più volte lanciato collezioni speciali o brandizzate dell’iconico biscotto, ma l’idea più coinvolgente è stato l’Oreo creation contest. Agli utenti è stato chiesto di creare una versione innovativa del biscotto, con ingredienti fuori dagli schemi che dessero un gusto speciale all’Oreo. Una volta ideata la nuova ricetta, bastava postare la foto della propria creazione sui social usando degli hashtag mirati ed attendere. Il vincitore, oltre all’onore di vedere in commercio il proprio Oreo, si è aggiudicato 500mila dollari.
Piccoli consigli di Storydoing
Per le grandi aziende è facile lanciare iniziative di questo genere e coinvolgere i propri utenti, ma anche i piccoli imprenditori possono mettere in pratica con successo strategie di Storydoing.
Mettiamo che un’attività, un ristorante nello specifico, stia preparando un evento speciale. Lo storytelling servirà per parlare dell’occasione, degli intenti e dei motivi per i quali è nata questa iniziativa. Lo storydoing servirà invece per coinvolgere l’utente nei preparativi con piccoli dietro le quinte: uno sguardo in cucina, una preview dell’allestimento, un sondaggio che sproni a decidere il colore della tovaglia o di una decorazione, un box domande che chieda aiuto nella scelta di un nome, un premio speciale nascosto in una pietanza o in un luogo specifico del locale.
Strumenti d’azione: Instagram e Tiktok.
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Noi utenti, avendo preso parte alla preparazione dell’evento o attirati dal premio, avremo voglia di presenziare perchè vorremo vedere personalmente il frutto della nostra partecipazione attiva o desidereremo essere coloro che vincono. Ecco qui che è scattato l’engagement e che da utenti siamo diventati clienti.
Non è poi così difficile no?